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TU SEI LA PIANTA

“Sono stanco ora, la strada è lunga,
perdonami, ho scordato
quello che il Grande alto sul sole
e sul trono gemmato,
manda a te, meditante
(mi ha vinto la vertigine).
Vedi: io sono l’origine,
ma tu, tu sei la pianta”

Rainer Maria Rilke
Annunciazione (Le parole dell’Angelo),1902
trad. di Giaime Pintor (1942)

In un antico mondo vegetale rintracciabile tra le pagine della Bibbia e tra le parole del rosario, la rosa era senza spine e per lodare la bellezza di una donna la si paragonava a una palma, i ciclamini erano i compagni del concepimento, gli iris del dolore.
In questo episodio di FLORILEGIO la storica dell’arte Chiara Di Maria illustra attraverso ricche didascalie argomentative otto dipinti dell’Annunciazione, leggendoli non a partire da Maria e l’Angelo, ma dai fiori che li circondano. Gli elementi più marginali del prato, quelli che in un primo momento investono la visione laterale dello spettatore, racchiudono nelle loro corolle le ragioni teologiche, l’amore, le parole, dei due protagonisti; il marginale non è dettaglio, ma testo.
I fiori sono promesse e presagi, sono il luogo in cui l’amore diventa caritas, e il desiderio umano speranza divina. Gli animali si nutrono di fiori, divenendo essi stessi efflorescenza del loro significato mistico: il cardellino, la Passione, becca il cardo, la corona di spine. L’hortus conclusus è il giardino del significato, ogni elemento della natura parla a Maria, come succede alle principesse delle fiabe moderne quando si perdono nei boschi.

“Sono venuto a compiere
la visione santa.
Dio mi guarda, mi abbacina…
Ma tu, tu sei la pianta “.

Guido di Piero, poi Fra Giovanni da Fiesole detto Beato Angelico (notizie dal 1417 – Roma,1455), Annunciazione, 1430-1440, cm 95×158; predella, cm 16×30, già Chiesa di San Giovanni Battista a Montecarlo, San Giovanni Valdarno, Museo della Basilica di Santa Maria delle Grazie. Particolare.

Il sacro evento si svolge all’interno di un elegante porticato, il quale offre profondità all’intera opera permettendo al pittore d’inserire sullo sfondo l’antefatto all’episodio principale. In alto a sinistra sono rappresentati i Progenitori che, cacciati dal Paradiso terrestre, si avviano disperati verso la nuova sofferenza in attesa del riscatto, che sarà compiuto da Maria. Adamo ed Eva abbandonano il giardino edenico che, con le sue piante frutti e fiori, è simbolo di Maria stessa, a cui i Padri della Chiesa hanno attribuito vari elementi del Cantico dei Cantici: Pulchra ut luna, Electa ut sol, Flos campi, Lilium inter spinas, Turris David, Fons hortorum, Puteus aquarum viventium, Hortus conclusus, Palma. Una siepe di rose rosse e bianche delimita sulla sinistra l’hortus conclusus. La rosa, attributo della Madonna – rosa mystica – rientra in un ricorrente florilegio mariano: prima della caduta dell’uomo essa era priva di spine, e la Vergine è detta “rosa senza spine” perché non è stata toccata dal peccato originale. Inoltre, secondo un’antica leggenda sarebbe stato l’arcangelo Gabriele in persona a intrecciare con 150 rose celesti tre corone per la Santa Vergine: una di rose bianco-argentee del gaudio, dov’erano considerati gli avvenimenti della fanciullezza di Gesù; una di rose rosse per i dolori della Passione; e infine una di rose dorate per la glorificazione di Gesù e di sua Madre. Piccole margherite spuntano invece in basso sul prato. Queste annunciano la primavera e la nascita di Cristo, sono simbolo dell’avvento della Salvezza e della nuova stagione dello spirito. La margherita (Bellis perennis) nel linguaggio dei fiori evoca candore, innocenza, grazia e bontà. Infine, alle spalle dell’angelo annunciante, il pittore ha voluto inserire una palma (Phoenix, dal greco phoînix, come il leggendario uccello che viveva 1461 anni e moriva bruciandosi nel suo nido per poi rinascere dalle sue ceneri): l’Albero della vita che per i cristiani simboleggia il Cristo stesso, primo martire e primo testimone della fede, colui che, resuscitando, aveva trionfato sulla morte. Ma anche simbolo della bellezza femminile, come testimoniano i versi del Cantico dei Cantici, dove lo Sposo loda la sua Sposa dicendo: “la tua statura assomiglia a una palma e i tuoi seni ai datteri” (Ct 7,8).


Leonardo da Vinci (Vinci ,1452-Amboise, 1519), Annunciazione, 1472, olio su tavola, cm 90×222, Firenze, Galleria degli Uffizi.

Nell’Annunciazione di Leonardo da Vinci l’elemento botanico occupa una posizione importante, al di fuori di una mera ornamentazione, bensì come meditata e motivata risposta alle necessità delle iconografie. Leonardo fece tesoro, si crede, degli “erbari” quattrocenteschi contenenti descrizioni, spesso illustrate, delle erbe e delle piante con le loro proprietà mediche e farmaceutiche. Quanto ai fiori, il giglio di Gabriele dispiega in aria infiorescenze dai contorni arricciati e sinuosi, lungo i quali si concentra il bianco cremoso che ne crea le forme e i risalti. Il prato fiorito dove atterra Gabriele, con le vesti e i capelli ancora frementi per il vento del volo, è tratteggiato da fili d’erba e foglioline spesse, come fossero tutte di salvia. Narra una leggenda che la Sacra Famiglia era in fuga verso l’Egitto, inseguita dai soldati di Erode che volevano uccidere il Bambin Gesù. Temendo di essere raggiunti la Madonna chiese a una salvia fiorita se poteva celare tra le sue foglie almeno Gesù. Alla richiesta della Vergine la salvia aprì le foglie e col suo profumo addormentò il Bambino. La Madonna benedisse la salvia dicendole: “Tu sarai la pianta di tutti gli orti: i malati ti cercheranno per guarire, i sani per cucinare cibi o aromatizzare bevande. E tutti ti rispetteranno e proteggeranno come la pianta più utile che ci sia sulla Terra”. Una spuma di fiori danza al sommo delle erbette: rosette di rose carnose ruotano come ghirlande. Fra i calici di petali aguzzi presi di fronte e di profilo, fra le corolle di gracili margherite spicca, a ridosso del leggio della Vergine, una coppia d’iris, fiori comunemente associati al dolore della Madonna per la morte del Figlio sulla croce. Mentre al centro del prato, dinanzi all’Arcangelo, si riconoscono ancora anemoni e papaveri, che per il loro colore rosso intenso ricordano il sangue di Cristo, e sparsi un po’ ovunque ciclamini, simboli del concepimento per via della loro forma che ricorda vagamente l’utero femminile, e viole, emblemi di modestia e umiltà, che stanno per la promessa del Regno celeste.


Bartolomeo Caporali (1420-1505), Annunciazione, 1460 ca., tempera su tavola, cm 156×177, Avignone, Musée du Petit Palais. Particolare.

Il dettaglio del pozzo in profondità, che si palesa oltre l’ala d’oro e la veste rossa dell’Arcangelo che qui fungono quasi da sipario, è un attributo della Sulamita ripreso dal Cantico dei Cantici: “Hortus coclusus, Fons signatur, Fons hortorum, Puteus aquarum viventium, quae fluunt impetu de Libano” (Ct 4,12.15). La Sacra Scrittura ci tramanda un’immagine silenziosa della Vergine Maria: giardino chiuso, fontana sigillata. E ancora: fontana che irrora i giardini, pozzo d’acque vive che sgorgano dal Libano. Il titolo di Maria come “sorgente di vita” è molto antico e carico di risonanze bibliche e patristiche. Già nel IV secolo il teologo Efrem il Siro invocava così Maria: “Ave, Madre di tutti; ave, Sorgente di grazie e di consolazione per tutti”.
Mentre nella seconda metà del V secolo l’Acatisto, inno della liturgia bizantina, celebra la Vergine come “Roccia dalla quale sgorgano le acque di vita, Sorgente di latte e di miele” (stanza XI), “Fonte dei sacri misteri, Sorgente di acque abbondanti, figura dell’antica piscina”, “Fonte che monda le anime, Coppa che versa letizia” (stanza XXI). In queste invocazioni viene poeticamente messa in rilievo la molteplice funzione mediatrice di Maria in favore della Chiesa e dei fedeli: Maria è esaltata come fonte e sorgente di tutte le grazie. Anche San Bernardo di Chiaravalle ne ha illustrato il concetto nel suo celebre Sermone dell’acquedotto, traendone un paragone estremamente espressivo del ruolo mediatore di Maria. “Avete già capito – dice Bernardo – se non erro, di quale acquedotto intendo parlare, acquedotto che ha fatto giungere fino a noi la pienezza della sorgente che è sgorgata dal cuore del Padre, perché ne ricevessimo, se non in tutta la sua abbondanza, almeno nella misura della nostra capacità” (par.4). È Maria quell’acquedotto di cui Bernardo parla. È infatti lei che è stata salutata dall’angelo come piena di grazia: “Ti saluto, o piena di grazia” (Lc 1, 28). Quest’acquedotto è stato costruito meravigliosamente da Dio stesso, quando è venuta la pienezza, dei tempi, dopo aver atteso cioè tanto tempo: “Ecco perché per tanti secoli il genere umano fu privo dei rivoli della grazia: perché non esisteva ancora il tramite di quel tanto sospirato acquedotto di cui stiamo parlando. E non c’è di meravigliarsi che si sia fatto attendere così a lungo, se si pensa per quanti anni il giusto Noè dovette dedicarsi alla costruzione dell’arca” (par. 4). Il riferimento all’arca serve ad indicare Maria, arca della nuova alleanza, perché portatrice e generatrice del Verbo di Dio. Se nell’antica arca, solo poche persone poterono trovare la salvezza, nella nuova tutti possono raggiungerla.


Fra Filippo di Tommaso Lippi (Firenze, 1406 – Spoleto, 1469), Annunciazione, 1450-1453, tempera su tavola, cm 68x 151,5, Londra, National Gallery.

Il giglio, Lilium candidum, ha ispirato i simboli della bellezza e della fertilità, ma anche della fioritura spirituale. Così appare nel Cantico dei Cantici dove sotto il velo di un amore umano viene celebrato l’amore di Dio per il suo popolo. Lo Sposo del poema è il Signore stesso che canta la bella Sposa, simbolo di Israele: “Come un giglio fra i cardi, così la mia amata tra le fanciulle […]. I tuoi seni sono come cerbiatti, gemelli di una gazzella, che pascolano fra i gigli […]. Le sue labbra sono gigli che stillano fluida mirra […]. Il tuo ventre è un mucchio di grano circondato da gigli” (Ct 2,2; 4,5;5,13;7,). Per il suo candore il fiore diventerà l’immagine della purezza e della grazia nonché simbolo per eccellenza della maternità verginale di Maria. Luca narra che l’arcangelo Gabriele apparve a una vergine promessa sposa di un uomo della casa di Davide chiamato Giuseppe. “Non temere, Maria” le disse “perché hai trovato grazia presso Dio. Ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e chiamato Figlio dell’Altissimo: il signore Iddio gli darà il trono di Davide suo padre, ed Egli regnerà sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà più fine”. Stupita, Maria obiettò all’angelo che non poteva generare perché non “conosceva” uomo. Quando le fu risposto che nulla era impossibile a Dio e che lo Spirito Santo sarebbe sceso di lei, non esitò nemmeno per un istante “Eccomi”, rispose “sono la serva del Signore, avvenga di me quello che tu hai detto” (Lc 1,26-38). Sicché i pittori, come Filippo Lippi, a partire dal XIV secolo rappresentarono nella scena dell’Annunciazione l’arcangelo Gabriele che offre a Maria un giglio per significare la sua Immacolata Concezione, la verginità, la purezza, la fecondità e l’abbandono alla volontà divina; ma anche, sulla scia del Cantico dei Cantici, la sua elezione da parte dello Sposo e il suo fiorire spirituale.


Vittore Carpaccio (Venezia, 1455/65- Venezia, 1525), Annunciazione, 1504, olio e tempera su tavola, cm 130×140, Venezia, Galleria Franchetti, Ca’ d’Oro.

Nel dipinto dell’Annunciazione di Vittore Carpaccio, la Vergine è raffigurata inginocchiata entro un ambiente porticato, intenta a leggere il suo breviario, dal quale la distoglie l’arrivo improvviso dell’Arcangelo apparso nel giardino merlato a sinistra. Si tratta dell’hortus conclusus che richiama il Cantico dei Cantici e a sua volta funge da simbolo peculiare della castità di Maria. Come di consueto, l’arcangelo Gabriele offre il giglio alla Vergine, ricorrente emblema della sua purezza e castità. Un significato non dissimile si lega agli altri elementi vegetali del dipinto. Il vaso di garofani sullo stipo è un ricorrente simbolo della Vergine, a volte usato in qualità di metafora del matrimonio celeste e dell’amore divino, ma al contempo presagio della Passione di Cristo, secondo la leggenda medievale che narra come la Vergine abbia pianto di dolore alla morte del Figlio e le sue lacrime cadendo a terra si tramutarono in garofani. Del resto, il nome garofano deriva dal latino Dianthus che significa “fiore di Dio”. La simbologia animale contenuta nel quadro risulta altrettanto importante. Il dipinto si popola di volatili, riconducibili tutti a delle virtù. Il pavone, noto simbolo cristologico dell’incorruttibilità̀ della carne di Cristo è anche connesso alla Resurrezione e qui è stato collocato alle spalle dell’angelo annunciante, accanto al quale si trova pure un cardellino, simbolo della Passione. Infatti, lo stesso nome latino, carduelis, sottolinea la caratteristica del cardellino di cibarsi di cardi, e l’immagine del cardo allude alla corona di spine di Gesù. Appollaiati sotto il portico, compaiono tre colombi utili a richiamare le virtù di innocenza e purezza della Vergine Maria. La colomba inviata da Dio entro il fascio di luce, invece, simboleggia il concepimento virginale, avvenuto secondo il vangelo di Luca attraverso l’orecchio. Completano la struttura allegorica le rondini, simbolo di Resurrezione per eccellenza, in quanto portatrici della nuova stagione, che evoca l’avvento della nuova era cristiana attraverso il medium mariano. La primaverile interpretazione di Carpaccio della scena sacra dell’Annunciazione può inoltre rievocare l’osservazione contenuta nella Legenda Aurea, secondo cui il nome Nazareth significa fiore e l’interpretazione di San Bernardo di Chiaravalle, che recita “Il fiore volle nascere da fiore, nel fiore, e nella stagione dei fiori”.


Zanobi Strozzi (Firenze, 1412- Firenze, 1468), Annunciazione, 1440 ca., tempera su tavola, cm 104.5×142, Londra, National Gallery.

Zanobi Strozzi nella sua Annunciazione propone il topos dell’hortus conclusus, un’idea di origine biblica che immagina la Vergine stessa come un giardino chiuso. Il pittore non poteva disconoscere il testo biblico, interpretando i sensi allegorici espressi dal Cantico dei Cantici: “Giardino chiuso è la mia sorella, la mia sposa; giardino chiuso, fonte sigillata. I tuoi germogli costituiscono un verziere di melagrane con i prodotti più squisiti. Fontana da giardino, fonte di acqua viva, ruscelli sgorganti dal Libano. Spicchio di melagrana è la tua guancia, dietro il tuo velo”. Tale passo è stato da sempre associato alla Vergine Maria e alla sua purezza. Perciò nel dipinto ritroviamo gli stessi attributi della Madonna: il giardino chiuso, il pozzo di acqua viva, il giglio e l’albero di melograno, simbolo di femminilità, fecondità e prosperità, alle spalle dell’Arcangelo Gabriele. L’hortus conclusus si popola di fiori, di varie specie, scelti per il loro carattere simbolico legato alla Madonna, generatrice di Gesù e dispensatrice della grazia e di tutte le virtù: l’aquilegia è spesso presente nei prati delle Annunciazioni. I fiori blu-viola ma anche azzurrini o gialli dell’Aquilegia vulgaris, con i cinque petali a cornetto che si prolungano in speroni uncinati, simili al becco o all’artiglio dell’aquila, ispirano il nome di questa ranuncolacea che cresce sui prati. Per i cristiani, invece, l’aquilegia ricorda la colomba dello Spirito Santo a causa della particolare forma dei suoi petali, e probabilmente da tale interpretazione deriva il nome latino del fiore, columbina. Questo fiore è divenuto nel tempo simbolo del dolore della Vergine Maria a causa dell’assonanza tra il nome francese del fiore, ancholie, e la parola, sempre francese, melancholie, malinconia. Da qui deriva il significato funerario che l’aquilegia assume nel corso del Rinascimento, finendo tra i simboli della Passione di Gesù.


Alesso Baldovinetti (Firenze, 1427 – Firenze, 1499), Annunciazione, 1457, tempera su tavola, cm 167×137, Firenze, Galleria degli Uffizi.

La scena è ambientata in una loggia, chiusa sullo sfondo da un alto muro oltre il quale spuntano le cime di alcuni alberi: come cipressi, simboli dell’immortalità a causa delle foglie sempre verdi e del legno considerato incorruttibile, e melograni. A ridosso della cortina muraria si vede una siepe fiorita, allusione all’hortus conclusus mariano, dove spuntano qua e là gigli e rose a richiamare il silenzio e la segretezza dell’evento sacro, ma anche il candore e l’innocenza della Vergine Maria.


Autore ignoto, Allegoria dell’Annunciazione come Caccia all’unicorno nell’hortus conclusus, ancona Tappeto di Maria prodotto in ambito renano, fine del XV secolo.

Un discorso a parte merita l’Allegoria dell’Annunciazione, iconografia sviluppatasi nel corso del XV secolo in ambito renano e impiegata qui in un meraviglioso arazzo. I motivi della stoffa sono in maggioranza simboli della Madonna, come l’unicorno, o motivi del Medioevo nordico. La fonte che documentava con assoluta certezza la presenza dell’unicorno in remote contrade d’Oriente era il Phisiologus, un testo del II secolo d.C. riscoperto nel Medioevo, che descrive questo animale selvatico come piccolo di statura, di solito bianco e con barba caprina, con un lungo corno acuminato e attorcigliato sulla fronte dalle straordinarie proprietà terapeutiche. L’unicorno viene quindi descritto come un essere selvatico e ribelle, impossibile da catturare se non grazie a uno stratagemma. Secondo la tradizione l’animale, infatti, può essere avvicinato solo da una vergine. I cacciatori allora lasciano una fanciulla sola in mezzo a una radura e si nascondono nei dintorni. L’animale scorge la ragazza, le si avvicina, e non appena si adagia sul suo grembo, addormentandosi, viene immediatamente catturato. In questa chiave, è stato interpretato nell’iconografia cristiana come l’incarnazione di Gesù nel grembo della Vergine Maria. Infatti, vedendo nella vergine la figura di Maria e nel cacciatore quella dello Spirito Santo, si lesse la cattura dell’unicorno come una allegoria dell’Immacolata Concezione. Ecco, dunque, che la scena profana si tinge di sacro anche nella scelta di ambientare l’allegoria dell’Annunciazione in un giardino fiorito, che rimanda a sua volta all’iconografia dell’hortus conclusus. Dal Cantico dei Cantici vengono ripresi gli attributi della Sulamita: Pulchra ut luna, Electa ut sol, Flos campi, Lilium inter spinas, Turris David, Fons hortorum, Puteus aquarum viventium, Hortus conclusus, Palma. Ancora dal profeta Ezechiele (44,1-2) viene attinto l’attributo di Porta clausa e dal libro della Sapienza (7,26) quello di Speculum sine macula. La scena è occupata al centro da un recinto che replica in piccolo l’immagine di un circuito di mura cittadine, interrotto sulla sinistra da una Porta chiusa. Una grande Madonna, seduta sull’erba, afferra il bianco unicorno che le appoggia le zampe anteriori in grembo. La fontana accanto alla Vergine, zampillante d’acqua, rappresenta la purezza di Maria. A destra, la Torre di Davide, costruita a Gerusalemme. Il prato è fiorito: rose rosse, gigli, viole, aquilegie e narcisi sono i fiori della Madonna e tutti alludono ad una sua virtù. Il narciso appare nel giardino chiuso a significare il trionfo dell’amore divino e della vita eterna sopra la morte, l’egoismo e il peccato. All’esterno del recinto, sulla sinistra, la figura dell’Arcangelo Gabriele, munito di una lancia e di un corno, è preceduta da due cani: strumenti questi per la caccia all’unicorno. Egli appare alla Vergine preannunciando la nascita di Gesù e salutando Maria con la scritta: “AVE GRATIA PLENA DOMINUS TECUM”.

Didascalie argomentative: Chiara Di Maria, novembre 2022

Immagini
1. Guido di Piero, poi Fra Giovanni da Fiesole detto Beato Angelico (notizie dal 1417 – Roma,1455), Annunciazione, 1430-1440, cm 95×158; predella, cm 16×30, già Chiesa di San Giovanni Battista a Montecarlo, San Giovanni Valdarno, Museo della Basilica di Santa Maria delle Grazie. Particolare.
2. Leonardo da Vinci (Vinci ,1452-Amboise, 1519), Annunciazione, 1472, olio su tavola, cm 90×222, Firenze, Galleria degli Uffizi.
3. Bartolomeo Caporali (1420-1505), Annunciazione, 1460 ca., tempera su tavola, cm 156×177, Avignone, Musée du Petit Palais. Particolare.
4. Fra Filippo di Tommaso Lippi (Firenze, 1406 – Spoleto, 1469), Annunciazione, 1450-1453, tempera su tavola, cm 68x 151,5, Londra, National Gallery.
5. Vittore Carpaccio (Venezia, 1455/65- Venezia, 1525), Annunciazione, 1504, olio e tempera su tavola, cm 130×140, Venezia, Galleria Franchetti, Ca’ d’Oro.
6. Zanobi Strozzi (Firenze, 1412- Firenze, 1468), Annunciazione, 1440 ca., tempera su tavola, cm 104.5×142, Londra, National Gallery.
7. Alesso Baldovinetti (Firenze, 1427 – Firenze, 1499), Annunciazione, 1457, tempera su tavola, cm 167×137, Firenze, Galleria degli Uffizi.
8. Autore ignoto, Allegoria dell’Annunciazione come Caccia all’unicorno nell’hortus conclusus, ancona Tappeto di Maria prodotto in ambito renano, fine del XV secolo.

Wim Mertens, The way down, 1983

La via verso il basso… ma per annunciare qualcosa di importante. “The Way Down” è inserito da Wim Mertens nella versione integrale di “Integer Valor”, uscito nel 1999 (l’anno prima era stata pubblicata una versione “sintetica” di un disco solo). Un cofanetto con tre CD e “The Way Down” apre il terzo disco dall’enigmatico titolo “Full Of Cobbles”, sette tracce e l’ultima si intitola, non a caso, “The Way Up”. E’ un brano dal ritmo di bolero, con un uso caldo e avvolgente di un ampia orchestra, archi e fiati, dove emergono l’andatura ritmica e poi i contrappunti del pianoforte e dove appare nella seconda parte – e in alcune versioni – la voce. Il ritmo di base sale, si intreccia e si fonde con altre cadenze ritmiche, e viene ampliato dagli archi. Il tema è maestoso. Ma poi, nella parte finale, sembra come sospendersi, una leggera esitazione, come se cercasse una conclusiva riflessione.
“The Way Down”, pubblicato sempre da Usura Music, è presente anche nella raccolta “Open Continuum” e fa parte della colonna sonora del film “Fiesta” del regista e attore portoghese Pierre Boutron con Jean-Louis Trintignant e Grégoire Colin.

Giampiero Bigazzi, Novembre 2022


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FLORILEGIUM
a cura di Rita Selvaggio e Sofia Silva
Ricerca Iconografica e Apparati: Chiara Di Maria
Wim Mertens, brano selezionato da Giampiero Bigazzi
27 Ottobre 2022 – 26 Gennaio 2023

Programma legato ai temi di “PUPILLE. Ci fioriscono gli occhi se ci guardiamo”, mostra collaterale all’esposizione “Masaccio e Angelico. Dialogo sulla verità nella pittura” promossa e organizzata dal Comune di San Giovanni Valdarno e inserita nel progetto “Terre degli Uffizi” ideato e realizzato da Gallerie degli Uffizi e Fondazione CR Firenze, all’interno delle rispettive iniziative Uffizi Diffusi e Piccoli Grandi Musei”.

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