ON GOING ON LINEXVIII Giornata del Contemporaneo

EPPURE LA BEATITUDINE – Omaggio a Pia Pera

EPPURE LA BEATITUDINE - Omaggio a Pia Pera

?? ????? ?? ????? ????????????, ??? ????? ?? ?? ??????? ? ?????????, ?????? ?? ???????????. ?? ?????? ????? ?? ?????, ?????? ?????? ??? ???????? ??? ??????? ??? ?????? ???????, ?? ????? ??? ??? ?????, ? ?????? ??? ??????????? ? ???????? ?? ????? ????????? ?????? ???? ?????. ?????? ???, ???????? ? ????? ??? ???????. ????? ?? ?????? ? ?????? ??? ??????, ??? ?? ????????? ????????? ?????? ? ??? ????????? ?? ?? ??????? ?????????? ?? ????, ??? ?????? ?? ?????, ??????????? ?? ???????. ?? ????? ???????? ??? ?????? ??????? ?? ????? ??????, ??????? ???? ????????̀ ?? ??? ????????? ?? ????? ??? ????????. ?????? ????? ?????????? ?????????. ???? ???? ?????? ?̀ ????? ??? ?????? ???̀ ???????? ????? ?????. ??????́ ? ???????? ??????? ? ?????????, ?? ???? ? ????????.

Queste meravigliose parole sono state scritte da Pia Pera (Lucca, 12 marzo 1956 – Lucca, 26 luglio 2016) nel libro L’orto di un perdigiorno. Confessioni di un apprendista ortolano (2003) edito da Ponte alle Grazie come molti altri importanti volumi dell’autrice. Pia Pera è stata scrittrice di saggistica e narrativa, traduttrice dal russo e, per l’appunto, ortolana, nel casale di famiglia in Lucchesia, dove si trasferì passati i quarant’anni. In quel luogo che nulla ha da invidiare al Giardino Segreto di Frances Hodgson Burnett, la scrittrice sperava di passare la vecchiaia nutrendosi della natura da lei stessa coltivata, salvo poi morire a causa di una grave malattia il cui racconto è affidato al libro Al giardino ancora non l’ho detto (2016).

Mezzogiorno, il televisore è acceso. Il telegiornale ha invitato in sala una scienziata; mentre scorrono immagini di montagne grigie, la voce di fondo apostrofa i telespettatori con parole simili a queste: «Portate i vostri figli a vedere l’alta montagna il più presto possibile. Devono riempirsi gli occhi di questo paesaggio perché tra poco lo perderanno, ma se ne avranno memoria, saranno disposti a combattere per riaverlo». E chi di figli non ne ha? Chi non ha nessuno cui mostrare la neve? La letteratura correrà in aiuto della natura, come ha fatto per altre forme della memoria, per altre tragedie della storia.

Casa Masaccio | Centro per l’Arte Contemporanea dedica la Giornata del Contemporaneo 2022, il cui tema è l’ecologia, la sostenibilità, a L’orto di un perdigiorno di Pia Pera, nella consapevolezza che in tutta la letteratura italiana non esista un libro che susciti passione per la natura, nella sua forma più domestica, al pari di questo. Si tratta della narrazione, suddivisa per mesi, della vita di una donna – simpatica, intelligente e un po’ superba come le eroine delle fiabe – che abbandona la città per creare il proprio orto, ma anche un frutteto e un giardino. Pia all’inizio non sa proprio come fare, conosce solo quel che desidera, e nemmeno fino in fondo. Mese dopo mese, errore dopo errore, spesso sgridata dai colleghi ortolani, realizza il suo progetto che oltre a essere orticolo è certamente filosofico ed estetico, influenzato dal pensiero di un lontano botanico giapponese, Masanobu Fukuoka, che predica il bizzarro principio della non-azione. Sono numerose le pagine che Pia Pera dedica ai presagi di crisi ambientale: le sono bisbigliati dall’orto, da fiori troppo smaniosi di sbocciare, dall’erba troppo docile nell’essere tagliata.

La vita di Pia Pera è narrata nel romanzo Due Vite di Emanuele Trevi (2021, ed. Neri Pozza), vincitore del premio strega 2021.

Sofia Silva: Nelle pagine di Due Vite in cui i protagonisti si apprestano a entrare nel nuovo millennio, scrivi a proposito di Pia: «Se aveva un’immagine di sé, non era ancora abbastanza definita da rappresentare un qualsiasi vincolo». Questa mancanza di vincolo può essere attribuita anche a L’orto di un perdigiorno. Confessioni di un apprendista ortolano, il libro che Pia scrisse qualche anno dopo: attingendo dal genere diaristico, scalza o forse ibrida quello manualistico, imporporandosi però della parola “confessioni” nel sottotitolo. In che modo la forma di questo libro, più ancora che il contenuto, riflette il percorso biografico della sua autrice?

Emanuele Trevi: Direi che il vero tema di Pia sia sempre stato quello della libertà, che ha trovato un riscontro oggettivo nel giardino, nell’orto, nella vita all’aria aperta. I suoi ultimi libri sono soprattutto dei resoconti di processi di affrancamento, fino all’ultimo che è un tentativo di liberarsi dell’Io che è la sede della paura della morte. Gli ultimi libri di Pia sono impressionanti, perché sono scritture che trovano riscontro immediato nella vita, non sono astratti. Insomma Pia viveva quello che scriveva, cosa che di per sé l’ha collocata al limite della letteratura.

SS: In L’orto di un perdigiorno Pia Pera sfida continuamente, a volte ammirata, altre indispettita, un uomo anziano e lontanissimo, il botanico e filosofo giapponese Masanobu Fukuoka. Pia è ossessionata dalla dottrina della “non-azione” o “agricoltura del Mu”, per cui il campo lasciato in un meccanismo di autoregolazione darà frutti migliori del campo lavorato con cura. In Due Vite sintetizzi questo conflitto interno a Pia, tra desiderio d’azione e di non-azione, in un dualismo tra Grazia e Natura. Hai scritto che tu e Pia leggevate spesso gli stessi libri; pensi che Pia Pera cercasse questa tensione tra Natura e Grazia anche nella letteratura con cui sceglieva di confrontarsi?

ET: Ognuno ha il suo lessico, quindi non è che voglio attribuire a Pia le mie idee, però certamente eravamo molto affini da giovani, e Pia aveva una sensibilità che la portava istintivamente a cercare l’invisibile nel visibile, nel singolare. C’era in lei qualcosa di radicalmente estraneo alla filosofia, se per filosofia si intende un qualche tipo di universale. Per esempio, non è diventata una “seguace” di Masanobu Fukuoka, considerava tutte le idee fallibili, alla prova dell’esperienza. Il che, secondo me, significa che era una persona intelligente.


Una biografia dell’autrice tratta dal sito piapera.it:

Pia Pera (Lucca, 12 marzo 1956 – Lucca, 26 Luglio 2016) è stata scrittrice di saggistica e narrativa e traduttrice dal russo. Appassionata giardiniera, ha divulgato una idea diversa di giardino attraverso libri, articoli e il sito Ortidipace. Figlia del giuslavorista Giuseppe Pera e della filosofa Elvira Genzone, ha studiato letteratura russa a Londra, dove è stata allieva di Isabel de Madariaga. Trasferitasi a Milano, ha tradotto, fra gli altri, Evgenij Onegin di Puškin (Marsilio 2005), Un eroe del nostro tempo di Lermontov (Frassinelli 1996), Tre racconti di Čechov (Voland 2011), La vita dell’Arciprete Avvakum (Adelphi 1986). Negli anni milanesi esordisce nella narrativa con il libro di racconti La bellezza dell’asino (Marsilio 1992) e il romanzo Il diario di Lo (Marsilio 1995). Del 2000 è il saggio L’arcipelago di Longo Maï. Un esperimento di vita comunitaria (Baldini&Castoldi) che segna una svolta: in cerca di una diversa dimensione del vivere, Pia Pera si trasferisce nel podere di famiglia in Lucchesia dove matura una filosofia del giardino che sarà al centro della sua produzione letteraria successiva: nel 2003 esce per Ponte alle Grazie L’orto di un perdigiorno. Seguono Il giardino che vorrei (Electa 2006, Ponte alle Grazie 2015), Contro il giardino, scritto con il paesaggista Antonio Perazzi ( Ponte alle Grazie 2007). Giardino & Ortoterapia (Salani 2010, ripubblicato ampliato come Le virtù dell’orto, Ponte alle Grazie 2016), Le vie dell’orto (Terre di mezzo 2011). Nel 2006 fonda il portale www.ortidipace.org, con Gianfranco Zavalloni e Nadia Nicoletti, dedicato alla creazione di giardini di comunità, dalle scuole ai luoghi della cura, e inizia a scrivere per la rivista Gardenia, alla quale collaborerà fino alla fine. Le sue rubriche sono raccolte nel libro Apprendista di felicità (Ponte alle Grazie 2019). Ha scritto di natura e giardino anche su Il Giornale, Internazionale, Diario, sulla Domenica del Sole 24 Ore, che ha pubblicato i suoi articoli nel libro Verdeggiando (2020). Ha fatto parte della giuria del premio “Il monito del giardino”. Le è stata intitolata una camelia, Camelia ‘Pia Pera’ creata da Andrea Antongiovanni nel vivaio Rododendron a Pieve di Compito: un esemplare cresce nell’Orto Botanico di Lucca. Nel 2007 scrive per Gianna Nannini i testi del concept album Pia come la canto io, basato sulla figura di Pia dei Tolomei, personaggio storico citato da Dante nel Purgatorio. Nel 2009 è il primo presidente della Fondazione Giuseppe Pera, dedicata alla figura di suo padre. Nel 2012 scopre di essere malata di sclerosi laterale amiotrofica, muore quattro anni dopo. Il racconto dell’attesa della morte è al centro del suo capolavoro, Al giardino ancora non l’ho detto (Ponte alle Grazie 2016), finalista al premio Viareggio e vincitrice del premio Rapallo. La sua vita è narrata nel romanzo Due Vite di Emanuele Trevi (Neri Pozza 2021) vincitore del premio Strega 2021.

XVIII Giornata del Contemporaneo
8 ottobre 2022
L’orto di un perdigiorno. Confessioni di un apprendista ortolano
A cura di Rita Selvaggio e Sofia Silva
Ricerca iconografica e apparati: Chiara Di Maria
Un grazie speciale a Emanuele Trevi

 Didascalie
1. Hilma af Klint, Thistle from On the Viewing on Flowers and Trees, 1922, watercolor, cm 7.5×25.
2. Cardo mariano (Silybum marianum), illustrazione tratta da un manoscritto, noto con il nome di Herbe pincte, databile tra la fine del XIX e inizio del XX secolo.
«E’ fiorito il cardo mariano (Silybum marianum). Era ancora inverno quando ho notato, nel campo dell’oliveto, le sue rosette basali, composte di grandi foglie spinose, incise, chiazzate di bianco. La leggenda vuole che siano le chiazze del latte della Vergine Maria, che un cardo ha nascosto ai soldati di Erode».
(Pia Pera, L’orto di un perdigiorno. Confessioni di un apprendista ortolano, ed. Ponte alle Grazie)
3. Rosa eglanteria, illustrazione tratta dal Frammenta botanica di Nocolai Josephi Jacquin, pubblicato nel 1809.
«Dapprima avevo pensato di piantare nella siepe la rosa canina nostrana. Poi ho letto di queste rose eglanteria, dette in inglese sweetbriar, come dire rovo fragrante, dal fiorellino semplice rosa pastello che pare tolto da un codice miniato e le foglie che, quando piove, sanno di mela acerba»
(Pia Pera, L’orto di un perdigiorno. Confessioni di un apprendista ortolano, ed. Ponte alle Grazie)
4.  Arbusto di cappero (Caparis spinosa), incisione su piastra opperplate colorata a mano dalla rivista botanica William Curtis di Londra 1795.
«E’ una pianta difficile, il cappero (Caparis spinosa ssp. inermis), si ostina a non lasciar decidere all’uomo il suo luogo di residenza. Spinti dal vento, i semi dei capperi scelgono di germogliare negli anfratti dei muri di pietra, su alte torri campanarie dove sviluppano folti cespugli che, l’estate, si ricoprono di luminosi fiori fragranti bianchi e violetti».
(Pia Pera, L’orto di un perdigiorno. Confessioni di un apprendista ortolano, ed. Ponte alle Grazie)
5.  U. Aldrovandi, Pyra Lardaria Maiora, Dendrologiae naturalis scilicet arborum historiae libri duo, cap.II. p.425, Bononiae, Giovanni Battista Ferroni, 1668.
«Il campo dove impianterò il mio frutteto è ancora vuoto ma la testa mi risuona già dei nomi degli alberi da frutto ordinati: lardaia, giugnolina, volpina, madernassa, cocomera, buco incavato, platicarpa, zitella, bulida… Sono frutti antichi o d’altri tempi, com’è di moda chiamarli adesso. Frutta che è raro trovare nei negozi, a maggior ragione viene voglia di averla nel campo. A quanto assicurano, queste vecchie varietà sono più rustiche delle moderne, più saporite».
(Pia Pera, L’orto di un perdigiorno. Confessioni di un apprendista ortolano, ed. Ponte alle Grazie)
6.  Barbara Regina Dietzsch, A Dandelion (Taraxacum officinale) with a Tiger Moth, a Butterfly, a Snail, and a Beetle, watercolor on parchment, XVIII sec., Fine Arts Museums of San Francisco.
«Non posso certo nutrirmi di sola borragine o tarassaco! Non posso, lontana come sono dallo stato di natura».
(Pia Pera, L’orto di un perdigiorno. Confessioni di un apprendista ortolano, ed. Ponte alle Grazie)
7.  Camelia japonica Pia Pera
«Una camelia ha tenuto chiusi i bocci durante la gelata, adesso ne trae fiori d’un rosso pastello screziato di bianco, umidi di rugiada».
(Pia Pera, L’orto di un perdigiorno. Confessioni di un apprendista ortolano, ed. Ponte alle Grazie)
8. Hilma af Klint, Birch, from On the Viewing on Flowers and Trees, 1922, watercolor, 17.5×25 cm.

Wim Mertens, OFTEN A BIRD, Jardin Clos (1996)

245e315a-5713-9a95-1970-8b4b8cba1172

Precedente

ANTHOLOGY | CHAPTER I
The green and the stone
HILL OF DREAMS (2016)

Successivo

ANTHOLOGY | CHAPTER I
DISARMO