Alberto Garutti nasce a Galbiate, Como, nel 1948. Dopo gli studi di architettura al Politecnico di Milano, nel 1975 esordisce con alcune sequenze di immagini fotografiche dalla forte carica autobiografica. È stato docente all’Accademia di Brera, dal 2002 ha insegnato presso la Facoltà di Architettura di Venezia (IUAV). E’ stato presidente della giuria italiana dell’ultima edizione dell’Italian Studio Program al Museo MOMA/P.S.1 di New York. Ha esposto in numerose personali e collettive fra le quali si ricordano la partecipazione alla Biennale di Venezia (1990, 2003), Biennale dell’Avana (2000) e Istanbul Biennale (2001). È stato chiamato a realizzare opere pubbliche per varie città e musei come a Ghent per lo S.M.A.K., a Istanbul e nel 2002 a Kanazawa in Giappone per il Century Museum of Contemporary Art.

Garutti Alberto-senza titolo

– data 1997

– titolo senza titolo

– tecnica installazione site specific, specchi

– dimensione 170×170 ciascuno specchio

– descrizione: Fulcro della ricerca di Garutti è l’architettura e negli anni Novanta in particolare si concentra sul tema della casa e della quotidianità cogliendo la possibilità di leggere l’architettura come fulcro del vivere quotidiano, come un sistema di relazioni. Per Garutti esiste infatti un rapporto simmetrico tra gli ambienti e chi li abita: la sua arte analizza questo rapporto partendo dall’analisi di sé, come nel caso dell’installazione di specchi presentata nella personale del 1997 a Casa Masaccio. Nell’opera infatti due grandi specchi, che sulla superficie riportano dei fori che ripetono la posizione di alcuni oggetti nel soggiorno dell’artista, si fronteggiano, riflettendosi all’infinito e allargando lo spazio. Elemento cruciale dell’opera è l’utilizzo dello specchio, che come scrive Garutti “è immagine solo quando qualcuno o qualcosa gli si para davanti. Lo specchio è il vuoto assoluto ed anonimo, appartiene alla casa, convive con essa in una condizione di indifferenza. Solo lo sguardo lo rende partecipe dell’esperienza dell’arte; il pensiero si ferma su di lui soltanto se gli occhi hanno visto la stanza nel rovesciamento che esso ci propone”.